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Nel Primo Mistero si contempla il Trionfo del Padre nel giardino dell'Eden quando, dopo il peccato di Adamo ed Eva, promette la venuta del Salvatore.

"Il Signore Dio disse al serpente: poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno.
Alla donna disse: moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli…
All'uomo disse: maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane…”
(Gn 3,14-19).

Per entrare nello spirito di questo mistero, dobbiamo prima di tutto intenderci sulle conseguenze del peccato originale. Comunemente si dice che l'uomo peccò e Dio, per punizione, lo cacciò dal paradiso terrestre. Così è scritto, ma leggendo in chiave un po' più profonda, si giunge ad una conclusione diversa.

Certamente l'uomo perse tutte le qualità di Luce di cui era rivestito, e quindi la propria regalità, condannandosi alla sofferenza e alla morte; ma ad essere “cacciato” fu Dio, perché l'uomo, disobbedendogli, lo costrinse ad uscire dal suo cuore.
Troviamo un'eco di ciò in Gn6,3ss:“Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo… Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male”

Ciononostante, nel momento in cui viene rifiutato da Adamo ed Eva, il Padre progetta le redenzione promettendo di inviare sulla terra il Suo Unigenito.
E sarà una nuova creazione che gli consentirà di tornare nel cuore dell'uomo rigenerato in una più alta dimensione. Infatti, una volta che Dio prende un corpo e si fa uomo, tutta l'umanità viene inserita nella Famiglia divina.

Il Padre, con un Amore creativo e redentivo più potente del peccato e della morte, capovolge totalmente la situazione: quella che all'inizio poteva sembrare una Sua sconfitta, si rivela come la Sua grande vittoria: Egli riconquista la Sua creatura e la guida verso orizzonti più ampi, verso terre e cieli nuovi.

Questo trionfo del Padre "è" sin dall'inizio, giacche' Egli è al di fuori del tempo, è l'Eterno presente e ciò che decide "è" sin dal momento in cui lo progetta.

Così è da intendersi il "trionfo" del Padre. Non nel povero senso umano - cioè affermazione della propria superiorità che umilia e punisce l' offensore - ma nel senso propriamente divino: "Tanto più voi vi ostinerete ad offendermi, tanto più io mi ostinerò a perdonarvi" .  La  vendetta di Dio è la Misericordia.

Il trionfo del Padre è questa vittoria della Sua sconfinata umiltà e del Suo infinito Amore: Egli bussa, attende, torna a bussare finché noi non Gli apriamo la porta del nostro cuore. Allora Lui torna ed è festa grande. 
E' un po' il capovolgimento della parabola del figliuol prodigo: "Chi accoglie  me  accoglie Colui che mi ha  mandato"  (Gv13,20 ); "Io e il Padre  verremo  e porremo dimora dentro di lui”  (Gv 14,23). torna indietro

                       


Nel secondo mistero si contempla il trionfo del Padre al momento del “Fiat” di Maria durante l'Annunciazione.

"L'Angelo disse a Maria: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e gli porrai nome Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,30 ss.)

Il trionfo del Padre è quindi nel tornare a  prendere possesso delle Sue creature. Questo deve farci riflettere sull'importanza della nostra volontà: se diciamo "no" a  Dio, non gli permettiamo di venire e restiamo soli con noi stessi. E' il buio, la disperazione, la morte.
Se gli diciamo "sì" e lo facciamo venire, la Luce splende nelle tenebre del nostro spirito e noi diveniamo “gloria vivente di Dio”. Come Gesù, come Maria.

Maria con il suo “sì” annulla il "no" di Eva  e accoglie Dio che - con un atto di umiltà e di  Amore senza confine - si fa Figlio dell'uomo e torna a porre la Sua dimora nel Suo paradiso.
Gesù, il nuovo Adamo, dicendo il suo “Vengo, Padre, a fare la tua volontà” (Eb 10,9), permette al Padre di realizzare la nuova creazione. Gesù e Maria sono i prototipi dell'umanità nuova dai quali siamo stati rigenerati. Se, come loro, anche noi ci apriremo in pienezza a Dio e Gli permetteremo di porre dimora in noi, anche per mezzo nostro Egli potrà espandere il Suo Regno di Luce.

Impariamo a vivere questa realtà infinita. Impariamo ad essere, come Gesù e Maria, il trionfo d'Amore del Padre in un perenne “sì”.

Dire “sì” alla Volontà del Padre è difficile, perché prima o poi la Sua Volontà entrerà in contrasto con la nostra; ci troveremo in situazioni che non ci piaceranno: sarà il calice che dovremo bere, ma ci farà ripugnanza. Sarà il Gethsemani, l'ora della nostra morte e della nostra resurrezione. torna indietro

 

Nel terzo mistero si contempla il trionfo del Padre nell'orto del Gethsemani quando dona tutta la sua potenza al Figlio.

"Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Gethsemani, e disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”.  E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte: restate qui e vegliate con me”. E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però, non come voglio io, ma come vuoi tu!” Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà” (Mt 26, 36-42).
Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra
(Lc 22,43-46).
Poi si avvicinò di nuovo ai discepoli e disse loro: “Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo;  ecco, colui che mi tradisce si avvicina” (Mt 26, 45-46).
Giuda, dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce ed armi. Gesù si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?” Gli risposero: “Gesù il Nazareno”. Disse loro Gesù: “IO SONO!” Appena disse “IO SONO”, indietreggiarono e caddero a terra” (Gv 18,4-6).

Esaminiamo ogni parte di questa descrizione dell'agonia di Gesù nel Gethsemani perché è di importanza fondamentale per capire il Cuore del Padre e per guidarci nella via della santità; il Gethsemani è il passaggio obbligato del cammino verso l'alto, cioè verso il Padre.

Cos'è il Gethsemani? E' la grande agonia, il grande combattimento con “l'avversario” che Gesù deve sostenere nella sua umanità, come “Figlio dell'uomo”, per riscattare tutti gli uomini. Egli si trova dinanzi una realtà più grande di Lui: è Gesù uomo, con tutta la sua umanità perfettissima e perciò infinitamente sensibile, che deve scontrarsi con il grande avversario che si chiama “morte ”, “male”, “peccato”. E' per Lui “l'ora delle tenebre”, quella del secondo scontro: il primo era stato nel deserto, quando Gesù aveva vinto la prima fase di questa battaglia e “il diavolo si allontanò da Lui fino al tempo stabilito” (Lc 4,7). Il Gethsemani è il “tempo” della seconda e decisiva lotta nella quale si decideranno le sorti dell'umanità.

“Cominciò a provare tristezza e angoscia”

Nel Gethsemani è scomparsa da Gesù la potenza del miracolo, quell'energia soprannaturale che gli faceva dominare tutte le realtà circostanti, che faceva fuggire i demoni, che quietava i mari in tempesta, che risuscitava i morti. Con questa potenza Egli andava incontro al male e lo scioglieva: “Li guariva tutti”, dice il Vangelo.
Ora tutto il male del mondo si rovescia sulla sua umanità ed Egli chiede aiuto ai Suoi intimi perché la sua “anima è triste fino alla morte” e comincia a provare “tristezza e angoscia”. Ma i suoi amici dormono, “l'avversario” li ha messi fuori combattimento all'inizio delle ostilità, cloroformizzando le loro volontà perché essi non hanno pregato e la loro “carne è debole”.
Gesù resta solo con il Padre, ed a Lui si rivolge: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice, però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26,39).

In questo scontro esistenziale tra il proprio “io” e Dio la vittoria finale è di Dio, perché Gesù subordina la sua volontà a quella del Padre. E' la grande vittoria, il riscatto del “no” di Adamo. Ma Egli consegue questa vittoria in un bagno di sangue.

“Il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra”

La sudorazione del sangue è un fenomeno che si verifica in rarissimi casi, in seguito ad eccezionale trauma psichico. La sudorazione di Gesù è così abbondante da bagnare il terreno. Quando si accorge che sta venendo meno, si aggrappa al Padre, cercando in Lui quel conforto che i fratelli storditi dal sonno non riescono a dargli. Il Padre risponde immediatamente al richiamo del Figlio, mandandogli un Angelo.

L'Angelo del Calice

E' l'Angelo del conforto, l'Angelo del calice. Cosa c'è in quel calice? C'è la volontà del Padre, e Gesù la beve; ma mentre beve la volontà del Padre - in un “sì” totale - il Padre gli si comunica e gli dona tutta la Sua Potenza.
Il Padre si comunica al Figlio ormai agonizzante così come il Figlio, poche ore prima, si era comunicato - con il calice - agli apostoli.
Gesù beve in quel momento tutta la potenza di Vita del Padre che gli permette di rialzarsi, di rimproverare i Suoi amici con dolcezza e di andare incontro a colui che lo ha venduto con parole che sono un richiamo di Amore: “Non siete capaci di vegliare un'ora sola con me?… Dormite ormai e riposate” (Mc 14, 41). “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?” (Lc 22,48).

“IO SONO!”: Il Padre è in Gesù.

Gesù è tornato ad essere il Maestro di sempre, anzi più potente di prima, perché in Lui c'è ora in pienezza il Padre Onnipotente. Per convincercene vediamo ora cosa accade nell'incontro con la folla e le guardie che erano andate a prenderlo:

“Chi cercate?” Gli risposero: “Gesù il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Io sono!” (Gv 18,6).

Nella versione italiana del testo troviamo: “Sono io!”, ma questo perché nelle lingua corrente l'espressione suona meglio foneticamente. Nella versione latina, invece è “Ego sum” e in quella greca “έγω έιμί”. La traduzione letterale è dunque: “Io sono!”.

“IO SONO” è il nome del Padre, che così chiama Se stesso nel Vecchio Testamento: Mosé disse a Dio: “Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: il Dio dei vostri Padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: “Come si chiama?” e io cosa risponderò loro?”. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “dirai agli Israelitii: IO SONO mi ha mandato a voi” (Es 3,13-14).

Quindi, dicendo “Io sono!”, Gesù si qualifica con il nome del Padre. O meglio, il Padre dichiara la Sua presenza nel Figlio e si testimonia - oltre che con il Suo proprio nome - anche con la Sua POTENZA che è la caratteristica di Dio Padre: "Appena disse: "IO SONO!", indietreggiarono e caddero a terra"  (Gv 18,6).

Il Padre, in Gesù, porta il peso della Passione: abbiamo visto Gesù accasciato a terra in preda a "tristezza e angoscia" (Mt 26,37) e "paura" (Lc 14,33). Ha avuto uno stress tale da sudare sangue. Probabilmente ha subito un infarto, secondo le tesi di alcuni medici italiani che hanno studiato a fondo il fenomeno.
Come avrebbe potuto un uomo ridotto in quello stato riprendere immediatamente il controllo della situazione ed avere una forza di spirito tale da far cadere a terra "la gran folla con spade e bastoni" (Mt. 26,47) mentre qualche minuto prima era accasciato al suolo?
Come avrebbe potuto reggere alla flagellazione, al tragitto al Calvario, alla crocifissione?
Come avrebbe potuto vivere tutta la Passione tenendo sempre sotto controllo uomini ed eventi, come nel caso della Veronica, delle pie donne, del buon ladrone?
E' il Padre che, nel Figlio, sostiene il peso della Passione e la domina guidandola passo passo, finché Gesù non lancia il suo grido di vittoria: "Tutto è compiuto!" (Gv 19,30).

Appena il Figlio pronuncia queste parole, il Padre si ritira lentamente da quel corpo martoriato che Lui solo ha tenuto in vita sino a quel momento.
Gesù avverte questo allontanarsi del Padre, e torna per un istante nello smarrimento in cui si era trovato nel Gethsemani: “Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: Elì, Elì, lamà sabactani?”, che significa: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”… ed emesso un alto grido spirò” (Mt 27, 46-50).

Gesù ha combattuto la sua battaglia e l'ha vinta, ma non da solo: in Lui ha lottato e vinto il Padre con tutta la Potenza dello Spirito che poi esploderà nella Resurrezione.

Così è per ciascuno di noi.
Stiamo attenti a non sciupare il momento del nostro Getsemani e diciamo sempre: “Padre, non la mia, ma la Tua Volontà si compia!”
Non è facile, perché dire “sì” a Dio significa dire “no” al proprio “io”, rinnegare se stessi, morire a noi stessi. Ma questa è la santità: ad ogni “sì”, il nostro “io” si rimpiccolisce, dentro di noi si fa più spazio, la potenza della Luce di Dio ci penetra sempre di più e noi diveniamo meno materiali e più spirituali. Quando saremo divenuti un  “sì” definitivo, il nostro io morirà e allora ciascuno di noi potrà dire con San Paolo: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”. Saremo finalmente liberi.
La nostra vita avrà acquistato un senso pieno e gioioso, perché diverremo un continuo trionfo del Padre che trasformerà la nostra morte in una perenne resurrezione. torna indietro

 

Nel quarto mistero si contempla il trionfo del Padre al momento di ogni giudizio particolare.

Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse a suo padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliele dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò. Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed ora è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E’ tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi beni con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato! 
(Lc 15,11-32).

La parabola del figliol prodigo è illuminante per capire il Cuore del Padre - sempre aperto al perdono e fedele nel Suo Amore - e per capire il cuore dell'uomo, tanto fragile e facile a lasciarsi abbagliare da false luci.
Meditiamola insieme e forse riusciremo a rispondere al “perché” fondamentale della nostra fede: “Perché Dio permette il male?”
Facciamo una sola considerazione riguardante il tema che stiamo trattando, e cioè la rigenerazione dell'uomo nuovo: dei due figli chi è il “buono?”

A stretto rigore di logica è quello che è rimasto a casa: “ha servito il padre per tanti anni”; “non ha mai trasgredito un suo comando”; non lo ha costretto a dargli la sua parte di beni per poi “divorarli con le prostitute”; non ha lacerato il suo cuore di padre staccandosi da lui per andare verso un sicuro sfacelo; non ha disonorato la famiglia con tanti scandali compreso l'ultimo: mettersi a fare il guardiano di porci, considerati bestie immonde…
Dinanzi alla legge morale più elementare e alla legge giudaica non c'è ombra di dubbio: il “puro”, il “giusto” è colui che è rimasto a casa; l'altro è tutta una stratificazione di impurità.

Eppure sentiamo dentro di noi che non è così. Nel nostro profondo c'è l'eco della gioia del padre e l'atteggiamento del fratello “giusto” ci disturba come una stonatura stridente. Cosa è che non quadra?

Il primo è il figlio della legge e della giustizia, il secondo è il figlio del peccato e della Misericordia.
Il primo è formalmente “puro” ed ha la convinzione di esserlo perché non ha mai trasgredito la legge; ma questa convinzione ha fatto maturare in lui un orgoglio smisurato che - con la copertura della giustizia - lo autorizza a scagliarsi contro il fratello che ha sbagliato, contro il padre che lo ha accolto, contro i servi che partecipano alla festa. Contro tutti e contro tutto.
E' il figlio della legge, di una legge che ha ucciso in lui l'Amore e che ha fatto crescere ed esplodere in lui un “io” gigantesco che non lascia spazio né al padre e né al fratello. Perché in questo “io” violento non c'è spazio per l'Amore, se non per quello sterile ed arido verso se stesso.

Il fratello più piccolo ha trasgredito la legge in quasi tutti i suoi precetti; si è lasciato prendere da un vortice di passioni che lo hanno totalmente travolto; in una parola HA PECCATO, colpendo a fondo la propria dignità, il proprio spirito, il proprio corpo, la propria famiglia.
Ma questo suo “peccato” ha fatto scattare in lui tutto il meccanismo di morte: “Per peccatum, mors” dice San Paolo, cioè “a causa del peccato è venuta la morte”. Per “morte” dobbiamo intendere la morte dello spirito con tutti suoi derivati: ogni tipo di sofferenza materiale e spirituale, dal dolore fisico alla disperazione. Il giovane ribelle è spiritualmente “morto”: “Questo tuo fratello era morto”, dirà il padre.
Dalle tante sofferenze derivate dal suo peccato è scaturita la morte del suo “io”. Piagato e piegato dalla sofferenza - frutto del peccato - egli sente nel suo intimo un profondo bisogno di Amore vero e “sente” che solo il padre può darglielo. Torna a casa, tenuto ancora in vita da quest'ultima speranza che nell'incontro diventa certezza.

Ed è così che il figlio, ucciso nello spirito dal peccato, riceve dal padre una vita nuova, splendida. Ora, tra padre e figlio, c'è un rapporto di Amore profondo, non di timore e rispetto formali.
I due fratelli sono le due versioni di Adamo: quello che sarebbe stato l'uomo se non avesse peccato; quello che è, dopo aver preso coscienza del proprio peccato, ed essere stato riscattato dall'Amore del Padre.

Possiamo rispondere all'interrogativo di sempre: perché Dio ha permesso il peccato?
Perché l'uomo nell'abisso del peccato potesse conoscere l'infinito Amore misericordioso del Padre.

Giovanni Paolo II, facendo un quadro dei nostri tempi, si serve della parabola del figliol prodigo per dare una esatta configurazione dell'uomo di oggi: “Quel figlio, che riceve dal padre la porzione di patrimonio che gli spetta e lascia la casa per sperperarla in un paese lontano “vivendo da dissoluto”, è in un certo senso l'uomo di tutti i tempi, cominciando da colui che per primo perdette l'eredità della grazia e della giustizia originaria. La parabola tocca indirettamente ogni rottura dell'alleanza d'amore, ogni perdita della grazia, ogni peccato” (Dives in Misericordia).

Il peccato oggi è grande, e a causa di esso la sofferenza sta raggiungendo vertici allucinanti.
L'umanità nuova perciò nascerà presto, perché gli uomini - macerati dalla sofferenza - riconosceranno in Dio il Padre loro e lo invocheranno.
Lui verrà nel Figlio e sarà festa grande. torna indietro

 

Nel quinto mistero si contempla il trionfo del Padre al momento del giudizio universale.

"Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi, e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, nè lutto, nè lamento, nè affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,1-4.)

Giovanni vede “un nuovo cielo e una nuova terra”: è l'uomo rigenerato nel corpo e nello spirito e reso perciò capace di accogliere la Divinità che scende dal cielo. E' il Padre - e in Lui tutto il cielo, tutto il Paradiso, la nuova Gerusalemme - che viene a prendere possesso della sua dimora: il cuore dell'uomo.
E' la pienezza della Vita che si stabilisce nell'uomo e che elimina tutto ciò che sa di morte (“non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento né affanno”). E' il Padre che viene nel Figlio a far “nuove tutte le cose” (Ap 21,5) in una nuova creazione e che dà la Vita a chi la vuole, cioè a tutti, perché tutti hanno sete di Vita.
Finalmente l'uomo riconoscerà in Dio il Padre suo: “Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò suo ed egli sarà mio figlio” (Ap 21,7).

E' la realizzazione del “Dio con noi” prospettata da tutta la Scrittura.

Quello che Giovanni “vede” in profezia, con l'occhio dello spirito, un giorno lo vedranno tutti: sarà il gran giorno del giudizio universale, sono i giorni descritti da Matteo nel suo Vangelo: "Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra e vedranno il Figlio dell'uomo venire con grande potenza e gloria. Egli manderà i sui angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli" (Mt 24, 30-31).

Con che tipo di “potenza” verrà? Con quella del Padre. La potenza è attributo specifico di Dio Padre: “Dio Padre Onnipotente” diciamo nel Credo.
La Sua è potenza creatrice, rigeneratrice, potenza d'Amore, di Luce… Non verrà certo a distruggere, perché il Padre crea, non distrugge; non verrà a punire, perché il Padre è Misericordia; non verrà ad aggiungere tenebra a tenebre, perché il Padre è Luce che genera e dà Luce. Verrà e “strapperà il velo che copriva la faccia di tutti popoli e la coltre che copriva tutte le genti” (Is 25,7) e che impediva agli uomini di vederlo e perciò di amarlo.

Finalmente vedremo Dio quale Egli è: Padre, infinitamente Padre, capace solo di amare e di esercitare la Sua onnipotenza di Amore per superare in amore il male che Gli aveva strappato i Suoi figli che Egli vuole stringere di nuovo a Sé; per donarsi tutto a ciascuno di loro, sì da fare con tutti i Suoi figli uno con Sé, con il Figlio e con l'Amore.

Finalmente sarà esaudita la richiesta che Gesù ci ha insegnato a fare nel Padre nostro: “Venga il Tuo Regno (d'Amore), sia fatta la tua volontà (d'Amore) sulla terra così come è nel cielo”.
Cielo e terra si baceranno. Alla Babilonia senza Dio subentrerà la Città di Dio, la nuova Gerusalemme.
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